La bambina e il muro
C’era una volta un muro che non finiva più.
È passato tanto tempo e il muro deve aver continuato a crescere e ad allungarsi.
Ancora oggi non si vede dove vada a finire. È un muro molto alto e molto lungo, che corre per tutta la lunghezza dell’unico giardino dove i bambini del quartiere vanno sempre a giocare.
Quando il giardino finisce e cominciano le prime case della periferia, il muro diventa muro di una lunga fabbrica, che ora è chiusa, dove un tempo si fabbricavano barattoli e bottiglie di vetro.
In una di quelle casette di periferia, a due piani, con un po’ di orto intorno, vive una bambina con la sua famiglia. Quando il pomeriggio la bambina va a giocare nel giardino, la mamma dalla finestra della cucina può sempre seguirla con lo sguardo. Quasi sempre. Perché quando la bambina smette di giocare con gli altri ragazzini e costeggia il muro fin dove il giardino finisce, ma non dalla parte dove il muro diventa fabbrica, dall’altra parte, dove comincia il bosco, la mamma dal balcone non la vede più e dopo un po’ la chiama affacciandosi alla finestra, con una voce che un po’ è arrabbiata e un po’ è preoccupata.
Il bosco é un intrico di alberi scuri, rovi e cespugli, così intorcigliati tra loro che più avanti non si passa. Il muro invece passa e continua ad andare dentro il folto del bosco. Chissà fin dove arriva. Bisognerebbe entrare nel bosco per saperlo, ma la bambina nel bosco non ci è mai entrata. Le spine pungono, le ortiche prudono e le ombre là nel folto si muovono più in fretta degli alberi.
Alla bambina piace arrivare così vicina al bosco perché proprio in quel punto il muro non è più liscio e compatto ma diventa mosso, c’è una piccola rientranza, come un buco. Alzando la gamba, si potrebbe benissimo infilare il piede nel buco come fosse un gradino. Più in alto nel muro ci sono due sassi che spuntano all’infuori. Appoggiandosi col piede infilato nel primo buco, con una mano ci si potrebbe aggrappare al primo sasso che sporge, poi basterebbe riuscire ad arrivare più su con l’altro piede e appoggiarsi all’altro sasso che spunta e così, piano piano ci si potrebbe arrampicare. Ma ci vorrebbero delle scarpe speciali, da alpinisti, più che scarpe ci vorrebbero dei piedi speciali, piedi da arrampicatori, e mani con delle dita dure come artigli, come quelli che si arrampicano a mani nude sulle montagne, senza corde, con tutto il vuoto sotto di loro, ma lei quelle mani non le ha e nemmeno le scarpe.
Resta a guardare il muro con la testa all’insù. È troppo alto. Neanche uno grande se saltasse con dei trampoli a molla riuscirebbe a vedere cosa c’è dall’altra parte.
Perché la gente costruisce muri così alti?
Per non farsi vedere. Oppure per non vedere gli altri, come lei, che sta da questa parte. Forse non vogliono avere tra i piedi dei bambini che fanno troppe domande. «Tu fai sempre troppe domande» dice la zia quando la viene a trovare. Forse invece hanno tirato su quel muro per tenere nascosto un grande segreto. Una cosa che non si deve sapere. Un segreto di quelli che si dicono nelle orecchie i grandi, quando parlano fitto fitto tra loro di cose che lei non capisce.
Un vero grande segreto sarebbe per esempio una parola magica che appena la dici puoi volare, ecco, forse quella parola è nascosta dentro la corteccia di un albero speciale che cresce oltre il muro. Oppure non è una parola ma un frutto di quell’albero che se lo mangi spicchi subito il volo. Se lei volasse vorrebbe farlo col vestito quello rosso, così tutti da giù la riconoscerebbero, specie le sue amiche di scuola. Lei volerebbe in pieno giorno con tutta la città di sotto, con le braccia aperte, senza ali – mica è un angelo! – e volando andrebbe in visita ai suoi amici conosciuti d’estate, al mare, quando va in colonia. Amici che vivono in altre città, in altre case. Andrebbe magari da Valentino, che ogni estate al mare la invita sempre a prendere lo stesso cono gelato, che a lei non piace molto perché c’è sopra troppo croccante, che le resta sempre incastrato nell’apparecchio per i denti, ma lo accetta lo stesso perché Valentino è simpatico. Le piace molto con quei capelli quasi rossi e la faccia piena di lentiggini. Ecco, adesso lei sta volando proprio sopra la sua casa, lui la guarda da sotto a bocca spalancata, lei gli fa segno con la mano per dirgli di venire su con lei, basta fare un salto e aggrapparsi alle sue braccia, ma lui è un po’ indeciso, esita, ed ecco che proprio in quel momento il vento la prende, la solleva , la spinge di colpo verso terre lontane. Sotto di lei ora scappano via mandrie di elefanti, di giraffe, di leonesse spaventate coi loro cuccioli, sono tutti piccoli piccoli da lassù, il cielo all’orizzonte cambia colore, si sta facendo sera, sente da lontano la vocina di sua madre che la chiama perché è pronta la cena, ma da lassù chi la sente, può sgolarsi quanto vuole, lei lassù sente solo la voce degli uccelli e quasi li capisce, perché gli è sorella di volo.
Proprio adesso si sente un uccello dall’altra parte del muro che ripete lo stesso verso per tre volte, come un piccolo grido. Altre volte le è capitato di sentire uccelli cinguettare o frullare le ali. Segno che ci devono essere alberi anche dall’altra parte del muro. Forse di là dal muro è pieno di alberi da frutta, zeppi di frutti per ogni stagione dell’anno. E il muro serve a non far prendere la frutta dai rami. Adesso si mette ferma a occhi chiusi col naso aperto all’aria, per catturare un profumo di frutta. Di colpo le arriva al naso l’odore giallo delle albicocche mature, quelle che d’estate se cadono a terra subito si frullano tanto sono succose. Ma adesso non è estate, è solo l’inizio della primavera, la sera scende in fretta, anche la mamma mette fretta nella voce per richiamarla a casa, ecco il segreto! In quel giardino oltre il muro ci sono alberi che tirano fuori i frutti quando non è stagione. È vero che anche al supermercato, quando va col carrello accompagnando la mamma, si trova l’uva nera anche in pieno inverno, che costa tantissimo ed è tutta sigillata e perfino le fragole. E pere e mele ormai le trovi tutto l’anno, però adesso il profumo di albicocca c’è davvero, tanto che se lo sente più in bocca che nel naso e le viene l’acquolina. L’uccello di là dal muro grida di nuovo, sembra più un grido che un canto, tre volte, poi ancora tre, come volesse fare un segnale. Magari dall’altra parte gli uccelli sono tutti imprigionati, per questo gridano. Forse non solo gli uccelli ma anche le persone, e persino gli alberi sono tenuti prigionieri, il muro non è un muro ma una grande gabbia che li tiene imprigionati.
Ma, tranne questo uccello solitario, non sente nessun altro gridare, nessuno chiama aiuto, i prigionieri dovrebbero fare così, oppure lanciare lenzuola annodate per scavalcare il muro e liberarsi, oppure ancora mandare messaggi appesi a zampe di passero, ma siccome anche gli uccelli sono prigionieri, potrebbero legarli sul dorso di qualche scarabeo volante, oppure fare dei microfilm e legarli alle zampettine delle formiche.
Ora nemmeno l’uccello di prima grida più. L’unica a gridare è la mamma che si sgola dalla finestra della cucina. Non si sentono neanche sospiri o singhiozzi come farebbe qualsiasi principessa chiusa in una torre, ma le torri sono muri che vanno verso l’alto e non verso il lungo come questo muro qui. Forse nessuno grida perché non sanno di essere prigionieri, stanno chiusi dentro un muro enorme che è un carcere e loro continuano magari a vivere come sempre, vanno al supermercato, vanno a scuola, vedono la tv seduti sul divano e non sanno di essere in prigione. Se lei riuscisse ad arrivare in cima al muro si metterebbe a gridare per fargli sapere la verità, li chiamerebbe con la mano per farli venire tutti dalla sua parte e così essere liberi.
Ma se poi la prendono per matta e non le credono? Che prove ha lei della loro prigionia? Solo il muro, ma il muro sta qui da sempre, per quelli che stanno di là è lei che sta di qua, ma lei non è prigioniera, può andare e fare quello che vuole, quasi sempre quello che vuole. Per esempio, adesso che la mamma la chiama con una voce sempre più arrabbiata può benissimo non obbedire, almeno non subito subito. Ma quand’è che uno é prigioniero e quand’è che uno è libero? Un brivido le entra dal golfino e le va su per la schiena, adesso è quasi sera, il bosco là in fondo sta già diventando un miscuglio di ombre. Come se tutto diventasse più vecchio. Qualche giorno fa ha tirato oltre il muro un guscio di noce, un altro giorno un ramo e un’altra volta una buccia di arancia e perfino un sasso, ma non è successo niente: se di là c’era un bambino glieli avrebbe ritirati, se c’era uno grande l’avrebbe sgridata. Forse di là è tutto disabitato, c’è una vecchia casa abbandonata in un giardino abbandonato, con ragnatele dappertutto, il vento fa sbattere le persiane, una vecchia tenda dentro la casa si muove frusciando. I gradini ancora scricchiolano come se si ricordassero di tutti i piedi che li hanno pestati. Le cose abbandonate sono sempre un po’ tristi. La sua palla rossa per esempio adesso è marrone e piena di rughe, lei non ci gioca più, l’ha messa nello scaffale di destra sopra il suo letto. Ma non è una palla qualsiasi, ne ha viste e fatte tante insieme a lei in tutti quegli anni, per quello non la può buttare, anzi deve quasi nasconderla quando la madre decide il gran giorno delle pulizie. Alle cose gli restano per forza attaccati addosso un po’ di ricordi delle persone che le hanno usate un tempo.
Forse di là dal muro la casa è stata abbandonata in fretta, come in quel film di guerra che lei è rimasta in piedi a guardare anche se non era un film per bambini, dove c’era una famiglia che doveva lasciare la casa. Non avevano tempo per portarsi via niente perché arrivavano i nemici. C’era un ragazzino che voleva salvare la sua bicicletta ma non poteva, il padre lo trascinava via e lui piangeva. Se lei dovesse scappare via così, ci sono almeno dieci, no quasi quindici cose che non potrebbe proprio abbandonare. Ma lì da lei di guerre non ce ne sono. Per fortuna, perché in televisione invece pare che ci siano guerre dappertutto e bambini che possono morire perché scoppia una bomba mentre vanno a scuola. Quando le bombe scoppiano non ci sono muri che tengono, tutto si sfascia, tutto, come dopo un terremoto, le cose rotte così sono ancora peggio di quelle abbandonate, sono senza speranza, nessuno le toccherà più, nessuno le userà più un’altra volta.
Rabbrividisce di nuovo, si stringe nel golfino. Anche il muro si sta raffreddando, anche quello che c’è dall’altra parte starà perdendo luce.
Nel cielo sopra il bosco si sta affacciando una luna storta, quasi piena, pallida pallida, che sta imbiancando gli alberi e il muro. Adesso la luce batte proprio sulla strada di sassi che sporgono dal muro, più il muro scurisce, più i sassi diventano di luna, color latte, di giorno sembrano sassi come tutti gli altri, ma adesso se tu ti ci appoggi scopri che sono come delle manopole, li tocchi e nel muro si apre una porta, un passaggio segreto, una porta-muro che si spalanca. Lei allora fa un passo sulla soglia e davanti agli occhi le si apre un parco di alberi e cespugli selvaggi, immenso, che si perde nella notte in lontananza, senza una casa, senza un lampione, come se lì tutto fosse molto antico. Davanti a lei c’è il cavallo bianco di un principe ragazzino, un principe guerriero che cavalca senza sella, vestito di un’armatura leggera e svolazzante, che sotto sembra perfino un po’ nudo. Il principe le fa segno con la mano di raggiungerlo, in fretta, non c’è tempo. Il ragazzino assomiglia un po’ a Valentino, solo un po’, ma è più grande, forse perché sta in alto a cavallo, le fa ancora segno con la mano di saltare in groppa con lui, lei sta per fare un passo ma esita, si guarda la mano che stringe ancora la manopola di sasso-luna della porta-muro e vede che sulle unghie ha dello smalto rosso, come quello della sorella grande della sua amica Rita. Questo rosso la spaventa, senza volerlo fa un passo indietro, il ragazzino apre le braccia sconsolato, sta come per gridarle qualcosa per trattenerla ma la porta si richiude. Troppo tardi
Il muro è tornato come prima. Lei sente che non si riaprirà più, una notte come questa non tornerà.
La bambina si gira e si lascia il muro alle spalle. Vuole arrivare a casa prima che la mamma si metta a gridare un’altra volta. Affretta il passo, quasi corre, e quando si volta a guardare il muro non c’è più, la notte se l’è ingoiato, solo brilla ancora da lontano un sasso bianco, ma è solo un sasso su cui la luna per caso fa sbattere la sua luce.
Dopo un altro passo, anche lui diventa scuro come tutto il resto del mondo.
C’era una volta un muro che non finiva più.
È passato tanto tempo e il muro deve aver continuato a crescere e ad allungarsi.
Ancora oggi non si vede dove vada a finire. È un muro molto alto e molto lungo, che corre per tutta la lunghezza dell’unico giardino dove i bambini del quartiere vanno sempre a giocare.
Quando il giardino finisce e cominciano le prime case della periferia, il muro diventa muro di una lunga fabbrica, che ora è chiusa, dove un tempo si fabbricavano barattoli e bottiglie di vetro.
In una di quelle casette di periferia, a due piani, con un po’ di orto intorno, vive una bambina con la sua famiglia. Quando il pomeriggio la bambina va a giocare nel giardino, la mamma dalla finestra della cucina può sempre seguirla con lo sguardo. Quasi sempre. Perché quando la bambina smette di giocare con gli altri ragazzini e costeggia il muro fin dove il giardino finisce, ma non dalla parte dove il muro diventa fabbrica, dall’altra parte, dove comincia il bosco, la mamma dal balcone non la vede più e dopo un po’ la chiama affacciandosi alla finestra, con una voce che un po’ è arrabbiata e un po’ è preoccupata.
Il bosco é un intrico di alberi scuri, rovi e cespugli, così intorcigliati tra loro che più avanti non si passa. Il muro invece passa e continua ad andare dentro il folto del bosco. Chissà fin dove arriva. Bisognerebbe entrare nel bosco per saperlo, ma la bambina nel bosco non ci è mai entrata. Le spine pungono, le ortiche prudono e le ombre là nel folto si muovono più in fretta degli alberi.
Alla bambina piace arrivare così vicina al bosco perché proprio in quel punto il muro non è più liscio e compatto ma diventa mosso, c’è una piccola rientranza, come un buco. Alzando la gamba, si potrebbe benissimo infilare il piede nel buco come fosse un gradino. Più in alto nel muro ci sono due sassi che spuntano all’infuori. Appoggiandosi col piede infilato nel primo buco, con una mano ci si potrebbe aggrappare al primo sasso che sporge, poi basterebbe riuscire ad arrivare più su con l’altro piede e appoggiarsi all’altro sasso che spunta e così, piano piano ci si potrebbe arrampicare. Ma ci vorrebbero delle scarpe speciali, da alpinisti, più che scarpe ci vorrebbero dei piedi speciali, piedi da arrampicatori, e mani con delle dita dure come artigli, come quelli che si arrampicano a mani nude sulle montagne, senza corde, con tutto il vuoto sotto di loro, ma lei quelle mani non le ha e nemmeno le scarpe.
Resta a guardare il muro con la testa all’insù. È troppo alto. Neanche uno grande se saltasse con dei trampoli a molla riuscirebbe a vedere cosa c’è dall’altra parte.
Perché la gente costruisce muri così alti?
Per non farsi vedere. Oppure per non vedere gli altri, come lei, che sta da questa parte. Forse non vogliono avere tra i piedi dei bambini che fanno troppe domande. «Tu fai sempre troppe domande» dice la zia quando la viene a trovare. Forse invece hanno tirato su quel muro per tenere nascosto un grande segreto. Una cosa che non si deve sapere. Un segreto di quelli che si dicono nelle orecchie i grandi, quando parlano fitto fitto tra loro di cose che lei non capisce.
Un vero grande segreto sarebbe per esempio una parola magica che appena la dici puoi volare, ecco, forse quella parola è nascosta dentro la corteccia di un albero speciale che cresce oltre il muro. Oppure non è una parola ma un frutto di quell’albero che se lo mangi spicchi subito il volo. Se lei volasse vorrebbe farlo col vestito quello rosso, così tutti da giù la riconoscerebbero, specie le sue amiche di scuola. Lei volerebbe in pieno giorno con tutta la città di sotto, con le braccia aperte, senza ali – mica è un angelo! – e volando andrebbe in visita ai suoi amici conosciuti d’estate, al mare, quando va in colonia. Amici che vivono in altre città, in altre case. Andrebbe magari da Valentino, che ogni estate al mare la invita sempre a prendere lo stesso cono gelato, che a lei non piace molto perché c’è sopra troppo croccante, che le resta sempre incastrato nell’apparecchio per i denti, ma lo accetta lo stesso perché Valentino è simpatico. Le piace molto con quei capelli quasi rossi e la faccia piena di lentiggini. Ecco, adesso lei sta volando proprio sopra la sua casa, lui la guarda da sotto a bocca spalancata, lei gli fa segno con la mano per dirgli di venire su con lei, basta fare un salto e aggrapparsi alle sue braccia, ma lui è un po’ indeciso, esita, ed ecco che proprio in quel momento il vento la prende, la solleva , la spinge di colpo verso terre lontane. Sotto di lei ora scappano via mandrie di elefanti, di giraffe, di leonesse spaventate coi loro cuccioli, sono tutti piccoli piccoli da lassù, il cielo all’orizzonte cambia colore, si sta facendo sera, sente da lontano la vocina di sua madre che la chiama perché è pronta la cena, ma da lassù chi la sente, può sgolarsi quanto vuole, lei lassù sente solo la voce degli uccelli e quasi li capisce, perché gli è sorella di volo.
Proprio adesso si sente un uccello dall’altra parte del muro che ripete lo stesso verso per tre volte, come un piccolo grido. Altre volte le è capitato di sentire uccelli cinguettare o frullare le ali. Segno che ci devono essere alberi anche dall’altra parte del muro. Forse di là dal muro è pieno di alberi da frutta, zeppi di frutti per ogni stagione dell’anno. E il muro serve a non far prendere la frutta dai rami. Adesso si mette ferma a occhi chiusi col naso aperto all’aria, per catturare un profumo di frutta. Di colpo le arriva al naso l’odore giallo delle albicocche mature, quelle che d’estate se cadono a terra subito si frullano tanto sono succose. Ma adesso non è estate, è solo l’inizio della primavera, la sera scende in fretta, anche la mamma mette fretta nella voce per richiamarla a casa, ecco il segreto! In quel giardino oltre il muro ci sono alberi che tirano fuori i frutti quando non è stagione. È vero che anche al supermercato, quando va col carrello accompagnando la mamma, si trova l’uva nera anche in pieno inverno, che costa tantissimo ed è tutta sigillata e perfino le fragole. E pere e mele ormai le trovi tutto l’anno, però adesso il profumo di albicocca c’è davvero, tanto che se lo sente più in bocca che nel naso e le viene l’acquolina. L’uccello di là dal muro grida di nuovo, sembra più un grido che un canto, tre volte, poi ancora tre, come volesse fare un segnale. Magari dall’altra parte gli uccelli sono tutti imprigionati, per questo gridano. Forse non solo gli uccelli ma anche le persone, e persino gli alberi sono tenuti prigionieri, il muro non è un muro ma una grande gabbia che li tiene imprigionati.
Ma, tranne questo uccello solitario, non sente nessun altro gridare, nessuno chiama aiuto, i prigionieri dovrebbero fare così, oppure lanciare lenzuola annodate per scavalcare il muro e liberarsi, oppure ancora mandare messaggi appesi a zampe di passero, ma siccome anche gli uccelli sono prigionieri, potrebbero legarli sul dorso di qualche scarabeo volante, oppure fare dei microfilm e legarli alle zampettine delle formiche.
Ora nemmeno l’uccello di prima grida più. L’unica a gridare è la mamma che si sgola dalla finestra della cucina. Non si sentono neanche sospiri o singhiozzi come farebbe qualsiasi principessa chiusa in una torre, ma le torri sono muri che vanno verso l’alto e non verso il lungo come questo muro qui. Forse nessuno grida perché non sanno di essere prigionieri, stanno chiusi dentro un muro enorme che è un carcere e loro continuano magari a vivere come sempre, vanno al supermercato, vanno a scuola, vedono la tv seduti sul divano e non sanno di essere in prigione. Se lei riuscisse ad arrivare in cima al muro si metterebbe a gridare per fargli sapere la verità, li chiamerebbe con la mano per farli venire tutti dalla sua parte e così essere liberi.
Ma se poi la prendono per matta e non le credono? Che prove ha lei della loro prigionia? Solo il muro, ma il muro sta qui da sempre, per quelli che stanno di là è lei che sta di qua, ma lei non è prigioniera, può andare e fare quello che vuole, quasi sempre quello che vuole. Per esempio, adesso che la mamma la chiama con una voce sempre più arrabbiata può benissimo non obbedire, almeno non subito subito. Ma quand’è che uno é prigioniero e quand’è che uno è libero? Un brivido le entra dal golfino e le va su per la schiena, adesso è quasi sera, il bosco là in fondo sta già diventando un miscuglio di ombre. Come se tutto diventasse più vecchio. Qualche giorno fa ha tirato oltre il muro un guscio di noce, un altro giorno un ramo e un’altra volta una buccia di arancia e perfino un sasso, ma non è successo niente: se di là c’era un bambino glieli avrebbe ritirati, se c’era uno grande l’avrebbe sgridata. Forse di là è tutto disabitato, c’è una vecchia casa abbandonata in un giardino abbandonato, con ragnatele dappertutto, il vento fa sbattere le persiane, una vecchia tenda dentro la casa si muove frusciando. I gradini ancora scricchiolano come se si ricordassero di tutti i piedi che li hanno pestati. Le cose abbandonate sono sempre un po’ tristi. La sua palla rossa per esempio adesso è marrone e piena di rughe, lei non ci gioca più, l’ha messa nello scaffale di destra sopra il suo letto. Ma non è una palla qualsiasi, ne ha viste e fatte tante insieme a lei in tutti quegli anni, per quello non la può buttare, anzi deve quasi nasconderla quando la madre decide il gran giorno delle pulizie. Alle cose gli restano per forza attaccati addosso un po’ di ricordi delle persone che le hanno usate un tempo.
Forse di là dal muro la casa è stata abbandonata in fretta, come in quel film di guerra che lei è rimasta in piedi a guardare anche se non era un film per bambini, dove c’era una famiglia che doveva lasciare la casa. Non avevano tempo per portarsi via niente perché arrivavano i nemici. C’era un ragazzino che voleva salvare la sua bicicletta ma non poteva, il padre lo trascinava via e lui piangeva. Se lei dovesse scappare via così, ci sono almeno dieci, no quasi quindici cose che non potrebbe proprio abbandonare. Ma lì da lei di guerre non ce ne sono. Per fortuna, perché in televisione invece pare che ci siano guerre dappertutto e bambini che possono morire perché scoppia una bomba mentre vanno a scuola. Quando le bombe scoppiano non ci sono muri che tengono, tutto si sfascia, tutto, come dopo un terremoto, le cose rotte così sono ancora peggio di quelle abbandonate, sono senza speranza, nessuno le toccherà più, nessuno le userà più un’altra volta.
Rabbrividisce di nuovo, si stringe nel golfino. Anche il muro si sta raffreddando, anche quello che c’è dall’altra parte starà perdendo luce.
Nel cielo sopra il bosco si sta affacciando una luna storta, quasi piena, pallida pallida, che sta imbiancando gli alberi e il muro. Adesso la luce batte proprio sulla strada di sassi che sporgono dal muro, più il muro scurisce, più i sassi diventano di luna, color latte, di giorno sembrano sassi come tutti gli altri, ma adesso se tu ti ci appoggi scopri che sono come delle manopole, li tocchi e nel muro si apre una porta, un passaggio segreto, una porta-muro che si spalanca. Lei allora fa un passo sulla soglia e davanti agli occhi le si apre un parco di alberi e cespugli selvaggi, immenso, che si perde nella notte in lontananza, senza una casa, senza un lampione, come se lì tutto fosse molto antico. Davanti a lei c’è il cavallo bianco di un principe ragazzino, un principe guerriero che cavalca senza sella, vestito di un’armatura leggera e svolazzante, che sotto sembra perfino un po’ nudo. Il principe le fa segno con la mano di raggiungerlo, in fretta, non c’è tempo. Il ragazzino assomiglia un po’ a Valentino, solo un po’, ma è più grande, forse perché sta in alto a cavallo, le fa ancora segno con la mano di saltare in groppa con lui, lei sta per fare un passo ma esita, si guarda la mano che stringe ancora la manopola di sasso-luna della porta-muro e vede che sulle unghie ha dello smalto rosso, come quello della sorella grande della sua amica Rita. Questo rosso la spaventa, senza volerlo fa un passo indietro, il ragazzino apre le braccia sconsolato, sta come per gridarle qualcosa per trattenerla ma la porta si richiude. Troppo tardi
Il muro è tornato come prima. Lei sente che non si riaprirà più, una notte come questa non tornerà.
La bambina si gira e si lascia il muro alle spalle. Vuole arrivare a casa prima che la mamma si metta a gridare un’altra volta. Affretta il passo, quasi corre, e quando si volta a guardare il muro non c’è più, la notte se l’è ingoiato, solo brilla ancora da lontano un sasso bianco, ma è solo un sasso su cui la luna per caso fa sbattere la sua luce.
Dopo un altro passo, anche lui diventa scuro come tutto il resto del mondo.