Grigino il cavallino
Era piovuto tutta la notte e Grigino aveva freddo. Lì, dentro alla stalla, la paglia non bastava a riscaldarlo e la sua mamma era tutta spostata verso la parete di legno, vicino al papà e al fratello. La mamma si chiamava Bianca e il papà Nerone mentre suo fratello si chiamava Fulmine. Tutti bei nomi, gli sembrava, eccetto il suo: perché mai lo avessero chiamato Grigino, proprio non lo capiva. Forse dipendeva dal colore del suo mantello che era, per l’appunto, di un grigio sporco, punteggiato qua e là da piccole macchie nere. Forse era a causa del suo brutto nome, forse a causa di tutte quelle macchie, ma era sicuro che la mamma e il papà non gli volessero bene. Il fratello aveva sempre tutte le loro attenzioni, mentre lui, perfino quando andava dalla mamma a succhiare il latte, non riceveva mai una coccola. Lei stava lì infastidita e, appena finita la poppata, se ne andava in fretta, senza nemmeno dargli una leccata sul muso. Anche il papà non lo degnava di uno sguardo e anzi, giusto una settimana prima, lo aveva sentito parlare con la mucca Carlina e dirle che suo figlio era talmente brutto che il padrone aveva in mente di venderlo. Carlina aveva scosso la testa, bofonchiando qualcosa che non aveva capito. Aveva gettato uno sguardo compassionevole verso di lui e se n’era andata nel prato, dove la attendeva il suo pasto di margherite.
Si era spaventato a morte. Lui non voleva andare via di lì, da quella bella stalla e da quel grande recinto dove aveva imparato a camminare. E poi, anche se non gli volevano bene, preferiva restare con la mamma e il papà e anche con Fulmine: lo trattava con sufficienza, è vero, ma era pur sempre suo fratello… Osservando quello che faceva lui, avrebbe potuto imparare ancora molte cose, come scacciare le mosche con la coda, bere al ruscello senza cadere nell’acqua o trottare sul sentiero senza inciampare nei sassi…
Adesso, alzandosi tutto intorpidito dalla paglia umida, si avvicinò alla mamma per avere un po’ di calore e un po’ di latte. Bianca, che lo aspettava, lo guardò distratta e gli disse: «Da oggi, ti darò il latte solo una volta al giorno: è ora che cominci a mangiare la biada, come noi. Sei grande ormai e, anche se sei molto meno sveglio di tuo fratello, ti devi comportare come un cavallo normale».
Grigino la guardò smarrito. Cosa voleva dire che era meno sveglio di Fulmine? Ma lui era un cavallino piccolo, santo cielo! Una grossa lacrima gli scese dall’angolo dell’occhio e scivolò veloce verso la bocca. Un’altra la seguì e un’altra ancora, finché il latte che gli bagnava le labbra non prese un gusto salato. Continuò a succhiare, ma il sapore non era più lo stesso. Si staccò dalla mamma e lei uscì, scrollando la criniera.
Grigino rimase lì, incerto sulle zampe. Era molto triste. Tentò anche lui di scuotere la criniera, ma era fatta solo di pochi peletti dritti e la scrollata gli riuscì poco convinta. Mortificato, uscì e si avviò verso il prato che fiancheggiava la stalla.
«Eccolo qua il nostro Grigino!» esclamò la mucca Carlina vedendolo arrivare. «Cosa ci fai qui dalle mie parti? Ti hanno mandato via? Vieni, Grigino, vieni con me che andiamo un po’ più in là: dobbiamo parlare noi due…»
Grigino la seguì, timido. Carlina era una mucca molto grossa e aveva grandi mammelle sempre piene di latte. La coda, di cui andava molto fiera, arrivava quasi fino a terra. Gli occhi, grandi e castani, erano contornati da ciglia folte e ricurve, mentre le sue orecchie rotonde si muovevano in continuazione.
«Perché muovi sempre le orecchie, Carlina?» chiese Grigino, osservandola stupito.
«Ma perché così ascolto meglio! Sono curiosa, sai, e, credimi, a questo mondo è meglio essere curiosi che indifferenti, almeno sai che cosa ti aspetta! Tu, per esempio, lo sai perché i tuoi genitori non ti vogliono bene?»
Grigino la fissò.
«No, e, anzi, volevo proprio chiederlo a te…»
«Ecco» rispose Carlina sventolandogli affettuosamente la coda sul muso, «non è che non ti vogliano bene veramente, è che quando sei nato si aspettavano che tu fossi, come dire?, più carino, più robusto… più bello, insomma! E allora, vedendoti così mingherlino, temono che il padrone voglia disfarsi di te. Sai quanto è stupido il padrone, con tutte le sue fisime sul colore del mantello, sull’altezza al garrese e tutte le sciocchezze di cui parla sempre con quei signori e quelle signore che vengono in visita… Pensa che una volta ne ha portati da me una decina e, uno alla volta, gli ha fatto tastare le mie mammelle per far vedere quanto fossero gonfie di latte: se solo fossi stata una mucca meno educata, li avrei presi tutti a calci! E invece sono rimasta lì, buona buona, ad aspettare che avessero finito. Vedi, con il passare degli anni si diventa pazienti e io sapevo che se mi fossi ribellata, il padrone me l’avrebbe fatta pagare in qualche modo. Il fatto è che mentre io sono abbastanza vecchia per capire queste cose, i tuoi genitori sono ancora molto giovani e inesperti e, soprattutto, hanno paura. È solo per questo che ti tengono in disparte, perché non vogliono soffrire se un domani dovessero perderti.»
Immobile sulle zampe ancora sottili, Grigino la guardava a bocca aperta.
«Su, su» riprese Carlina, «non ti demoralizzare. Se vuoi, conosco un modo per rimettere a posto le cose.»
«E quale sarebbe?» disse Grigino con voce tremante.
«Se te lo dico, mi prometti di non farlo sapere a nessuno?»
Grigino annuì.
«Me lo devi promettere, non basta dire di sì» aggiunse severa Carlina.
«Lo prometto.»
«Bene, allora. Dunque: lo sai che là in alto sulla collina, dietro il boschetto di querce c’è uno stagno? L’hai mai visto?»
«No, ma mi sembra che una volta ci sia andato Fulmine: ha detto che è pieno di ranocchi che saltano da una riva all’altra.»
«E tuo fratello ci ha mai messo le zampe dentro quello stagno?»
«Non credo, anzi, diceva che tutti quei ranocchi gli facevano ribrezzo.»
«Ah, ah, tipico di Fulmine! Ma lasciamo perdere, che è meglio… Allora, ascolta. Quello è uno stagno magico e i ranocchi fanno parte della magia…»
«Cosa significa “magia”?»
«Significa che lì possono succedere delle cose che non succedono da nessun’altra parte. Ma, attento: solo chi è molto buono può essere ammesso alla magia. Tu credi di essere abbastanza buono?»
«Non so cosa vuol dire essere buono, Carlina. Io…»
«Lo sei, lo sei!» disse Carlina, agitando le orecchie. «La tua risposta lo dice da sola! Ascoltami, dunque. La prossima notte di luna piena dovrai andare allo stagno e fermarti sulla riva: starai lì senza fiatare, fino a quando non vedrai comparire un ranocchio grosso grosso. È il re dei ranocchi e ti parlerà: non so che cosa ti dirà, ma tu dovrai fare tutto quello che ti ordina. Lui sa sempre di che cosa hanno bisogno quelli che gli si rivolgono e tu non dovrai dirgli nulla, dovrai solo ascoltare e obbedire, anche se ti sembrerà che quello che ti viene richiesto sia impossibile da fare. Hai capito bene?»
Grigino fissava Carlina con gli occhi sbarrati.
«Ma… io non sono mai andato così lontano da solo! E di notte, poi… E quale sarà la magia del re ranocchio per farmi voler bene dai miei genitori?»
Lo sguardo di Carlina si fece severo.
«Io ti ho detto quello che devi fare, non ti ho detto che cosa succederà. Se ti fidi di me vai, altrimenti, amici come prima…»
Con uno svolazzante colpo di coda, Carlina si voltò e riprese a pascolare fra l’erba.
Grigino la fissò e tirò su col naso.
«Va bene, ci andrò» disse, raccogliendo tutto il suo coraggio. «Ma, non puoi accompagnarmi tu la prima volta? Non so nemmeno dov’è lo stagno…»
Carlina voltò il muso affondato in un cespuglio di margherite e lo guardò di sotto in su: la sua occhiata fu più eloquente di tante parole.
«Se vuoi cambiare la tua vita devi fare tutto da solo: senza la volontà, la magia non può niente.»
Il colloquio era finito. Grigino tornò sui suoi passi adagio, riflettendo. In fondo, che cosa avrebbe avuto da perdere se avesse seguito il consiglio di Carlina? Niente. Al massimo avrebbe avuto un po’ di paura a raggiungere lo stagno di notte. Forse sarebbe stato meglio andarci prima di giorno, giusto per non sbagliare strada col buio. E poi, se la mamma si fosse svegliata e si fosse accorta che non era nella stalla? Cosa sarebbe successo allora? Cercò di non pensarci ed entrò nel recinto.
La luce chiara della luna illuminava il sentiero. Sebbene Grigino riuscisse a distinguere quasi tutto intorno a sé, ogni ciuffo d’erba, ogni sasso, ogni albero rappresentava un ostacolo per la sua salita verso la cima della collina. Avanzava cauto, attento a cogliere ogni rumore nel silenzio della campagna: aveva paura che Bianca e Nerone si fossero accorti della sua fuga e lo inseguissero. Ma tutto taceva: solo i grilli cantavano la loro melodia, come ogni notte. In lontananza, dall’altra parte della vallata, di tanto in tanto si udiva l’abbaiare cupo di un cane.
Ansimando, un po’ per la fatica e un po’ per la paura, Grigino svoltò alla terza quercia, come aveva già fatto due giorni prima, quando, in pieno giorno, aveva raggiunto lo stagno. Era stato bello, allora. Alla luce del sole, l’acqua brillava, solcata da strani, lunghi insetti che ne sfioravano veloci la superficie. I ranocchi, nascosti sotto le foglie dei cespugli, gracidavano tutti insieme, riempiendo l’aria di un suono assordante. Lui si era mantenuto distante dalla riva: al riparo della quercia, era rimasto a osservare per qualche minuto, poi se n’era andato, contento di aver scoperto un luogo così bello.
Ora, però, con il buio, non era più tanto tranquillo. I ranocchi non si sentivano: forse dormivano. Avanzò piano fino alla sponda e si fermò. La luna si rifletteva nell’acqua, rotonda e bianca. C’era silenzio, lassù non si sentivano più nemmeno i grilli.
Grigino allungò il collo verso lo stagno, ma non vide nulla.
Deluso, stava già per ritornare sui suoi passi, quando all’improvviso tutta la superficie dell’acqua si increspò e, proprio sul sasso su cui posava gli zoccoli, comparve un enorme ranocchio. Era marrone, con grosse macchie verdastre sul dorso e continuava a gonfiare e sgonfiare la gola.
Grigino fece un balzo indietro e si bloccò.
«Be’, non avrai mica paura di me, vero?» gracidò il ranocchio. «Guarda che sono molto più piccolo di te e, se solo tu volessi, potresti schiacciarmi con uno dei tuoi zoccoli, lo sai Grigino?»
«Come fai a sapere il mio nome?» balbettò Grigino con un filo di voce.
«Lo so, lo so, io so tante cose… Ma piuttosto, dimmi, cosa sei venuto a fare qui?»
«Be’, io... È stata la mucca Carlina a dirmi che avrei potuto… ma se ti disturbo, me ne vado subito…»
«Ah, già, Carlina… mucca simpatica… È da un po’ che non la vedo. L’ultima volta che è stata qui, abbiamo fatto una bella chiacchierata: tra una ruminata e l’altra, mi ha raccontato un sacco di cose della fattoria. Peccato che non venga più spesso… Ma torniamo a noi. Allora, qual è il tuo problema?»
«Non so se ho un problema, come dici tu, ma è che sono triste perché la mia mamma e il mio papà non mi vogliono bene. Dicono che sono brutto con questo colore addosso e con tutte queste macchie, e che forse il padrone mi venderà…»
«Ma non farmi ridere! Chi vuoi che ti venda, solo perché sei un cavallo pezzato!»
«Cosa vuol dire pezzato?» chiese Grigino.
«Vuol dire che il tuo mantello ha delle macchie.»
«Ecco, appunto, è perché sono macchiato che nessuno mi vuole! Mio fratello, invece, ha un bel colore uniforme e il suo pelo è lucido, e infatti tutti lo ammirano e gli vogliono bene…»
«Tu, più che un cavallo pezzato, mi sembri un cavallo stupido! Ma non sai quanti altri cavalli esistono come te al mondo? E io allora, cosa dovrei dire io?! Anch’io sono pieno di macchie e per di più sono viscido e nessuno mi vuole toccare perché faccio ribrezzo! Eppure sono il re dei ranocchi! E allora? Guarda che a piangersi addosso non si combina niente di buono: la vita va presa di petto, Grigino, non bisogna mai avere paura di niente. E poi, insomma, francamente non vedo il motivo di tanta tristezza…»
Grigino tacque, deluso. Era stato tutto inutile, aveva fatto male a dare retta a Carlina: quel ranocchio sarà stato anche un re, ma non gli sembrava niente di speciale. Sospirò: il fiato uscì denso dalle sue froge e formò una nuvoletta di vapore sotto la bocca. Stava già pensando di salutare educatamente e di andarsene, quando il ranocchio riprese a parlare.
«In ogni caso, siccome sei un bravo cavallino e sei ancora molto piccolo, se vuoi ti aiuterò.»
Gli occhi bruni di Grigino si spalancarono per la sorpresa.
«Allora, vuoi entrare nella magia oppure torno a dormire?» chiese ancora il re dei ranocchi.
«Sì, certo che voglio» rispose Grigino, «ma cosa devo fare?»
«Devi entrare nello stagno.»
«Entrare nell’acqua?! Ma io ho paura! Non sono mai entrato nell’acqua: e se poi non riesco più a uscire? Se annego? Non so nuotare, io!»
«Dunque, a parte il fatto che sei un fifone e che questa non è una buona cosa per un cavallo, ti faccio notare che questo è uno stagno, non un lago. Il fondo di questa pozza melmosa non arriva al tuo collo: non potresti annegare neanche se lo volessi. E comunque, la mia magia richiede che tu faccia il bagno qui, nel mio stagno. Sta a te decidere.»
Grigino guardò a lungo il ranocchio, poi, incerto, mosse un passo verso l’acqua.
«Ecco, bravo. Adesso vieni, metti uno zoccolo davanti all’altro e entra nel mio regno.»
Con un balzo agile, il ranocchio saltò su un sasso un po’ più lontano e rimase immobile ad aspettarlo. Grigino avanzò. Piano piano, un passo dopo l’altro, entrò nell’acqua fangosa: tremava dal freddo.
«Ecco, avanti così, bravo...» lo incitava il re dei ranocchi dal suo sasso.
L’acqua era arrivata al garrese. Grigino si arrestò.
«Ti ho forse detto di fermarti?» chiese irritato il ranocchio.
«No» balbettò Grigino, «ma… qui l’acqua è profonda, non vorrei…»
«Devi arrivare nel centro dello stagno! Fai ancora quattro passi, fino a che ti resterà solo la testa fuori dall’acqua! Obbedisci! A questo punto la magia non può più essere annullata!» gracidò più forte il re dei ranocchi.
Grigino avanzò ancora. Era terrorizzato: temeva che, da un attimo all’altro, il fondo fangoso lo avrebbe inghiottito. Finalmente giunse nel mezzo: solo il suo collo emergeva dall’acqua.
«Va bene qui?» chiese con voce spezzata dalla paura.
«Sì, sei nel punto giusto» rispose il ranocchio. «Adesso ascolta bene: fai sette respiri lunghi, poi solleva gli occhi verso la luna e, subito dopo, immergi la testa nell’acqua.»
Grigino, talmente spaventato da non avere nemmeno la forza di emettere il più lieve dei nitriti, fissò i suoi occhi in quelli rotondi del ranocchio e cominciò a respirare. Uno, due, tre, quattro cinque… A poco a poco il mondo intorno a lui prese un’altra forma: il re dei ranocchi stava diventando sempre più grande, tanto che il suo corpo occupava tutta la sponda. Gli steli d’erba, fino ad allora quasi invisibili nel buio, adesso erano alti come alberi. I sassi sembravano dirupi che sprofondavano nell’acqua e l’acqua saliva, saliva, saliva…
Sei, sette… La testa di Grigino scomparve sotto la superficie dello stagno.
Allora, il re dei ranocchi emise un gracidio acuto, diverso da tutti gli altri, a cui risposero altri mille gracidii, provenienti da tutti gli stagni del mondo. Per un attimo, l’aria fu piena di quei gridi e di nient’altro.
Poi tutto finì.
Grigino riemerse. La sua testa grondava acqua. Si guardò intorno, stranito. Il ranocchio era ridiventato piccolo come prima. Piano piano, Grigino staccò gli zoccoli dal fondo melmoso e, a fatica, riguadagnò la sponda. Tremava, ma, nonostante tutto, gli sembrava che le sue zampe fossero più salde sul terreno.
Si scrollò forte e i peletti della sua criniera spruzzarono goccioline tutto intorno.
Voltò la testa a guardarsi il dorso. Era bagnato e non aveva più macchie: il mantello era tutto grigio.
Sbalordito allungò il collo a guardare ancora: alla luce della luna, il suo corpo riluceva come argento.
«Non ho più le macchie, re dei ranocchi, non ho più le macchie!»
Il suo nitrito di gioia si levò alto per tutta la vallata.
«Zitto, Grigino, o ti sentiranno fino alla stalla! Non sei più un cavallino pezzato ora: sei contento? Hai visto che la mia magia ha funzionato? Te lo avevo detto che non bisogna mai avere paura…»
Senza rispondergli, Grigino abbassò la testa, piegò le zampe anteriori, si chinò sull’erba e allungò la punta della sua lingua rosea sulla schiena del ranocchio. Quella carezza umida lo fece rotolare su se stesso due volte. Quando infine riuscì a rimettersi in equilibrio sulle zampette corte, scoppiò in una sonora, gracidante risata.
«Ma guarda un po’, se dovevo finire accarezzato dalla lingua di un cavallo! Io, il re dei ranocchi! Non si finisce mai di imparare a questo mondo! Dunque» continuò, cercando di ritrovare la sua dignità di re, «adesso puoi andare. Vedrai che da oggi in poi le cose cambieranno, ma ricordati una cosa molto importante: il rispetto degli altri non si guadagna se prima non si ha rispetto per se stessi.»
«Cosa vuol dire?» chiese Grigino.
«Vuol dire, per esempio, che se ti vedi brutto, ti vedranno brutto anche gli altri, oppure che se pensi che nessuno ti voglia bene, tutti penseranno che tu non meriti il loro affetto. Hai capito, Grigino? Ma adesso basta fare domande, è ora che torni dalla mamma!»
«Sì, ma… e tu? Come potrò mai ringraziarti per avermi dato questo bel mantello d’argento?»
«Non è me che devi ringraziare, ma il tuo coraggio: te lo avevo detto che ad avere paura non si combina mai niente di buono!»
Il re ranocchio si rizzò sulle zampette posteriori e, con un balzo fulmineo, si tuffò in mezzo allo stagno. I cerchi concentrici formati dall’acqua brillarono per qualche attimo alla luce della luna, poi la superficie increspata dello stagno si calmò.
Grigino si voltò e tornò verso la stalla, stando attento a non farsi sentire da nessuno: il suo incontro con il re ranocchio avrebbe dovuto rimanere un segreto fra lui e la mucca Carlina.
«Nerone, torna qui, presto! Vieni a vedere cos’è successo!»
Bianca fissava Grigino con gli occhi spalancati per la sorpresa.
Poco prima, Nerone e Fulmine erano usciti nel recinto. Mentre aspettava che Grigino si avvicinasse per la poppata, un improvviso raggio di sole si era insinuato fra le assi del tetto e aveva illuminato il corpo di suo figlio. Bianca era rimasta senza fiato: il mantello di Grigino era diventato di un bel grigio chiaro, lucente come l’argento. Pensando di aver visto male nella penombra della stalla, aveva fatto un intero giro intorno a lui, esaminandone attentamente il pelo, in cerca delle macchie nerastre.
Non c’erano più.
Dopo un istante di stupore, Bianca aveva lanciato quel possente nitrito per richiamare Nerone. Grigino, incerto sul da farsi, era rimasto in piedi, in attesa: aveva fame ed era stanco perché aveva dormito male. Aveva sognato la mucca Carlina che danzava nello stagno: le sue zampe non affondavano nell’acqua ma ci scivolavano sopra come se la superficie fosse stata di ghiaccio e il re ranocchio, in bilico sulla sua schiena, gracidava forte forte. A un certo punto, un raggio luminoso sottile come un filo si era staccato dalla luna ed era sceso fino al centro dello stagno: allora il re ranocchio ci era saltato sopra e si era lasciato trasportare verso il cielo. Grigino si era svegliato di soprassalto e non era più riuscito a riprendere sonno.
Chissà se il re ranocchio era davvero andato sulla luna, facendo un’altra delle sue magie?
Ora, mentre ascoltava il suo stomaco gorgogliare per la fame, Grigino guardava la mamma. Era immobile davanti a lui e i suoi occhi erano umidi, come se da un momento all’altro dovesse piangere. D’un tratto, gli si avvicinò e, dopo avergli strofinato il muso sul dorso, si piegò di lato avvolgendogli la testa con la criniera bionda.
«Mi fai il solletico, mamma!» nitrì piano Grigino, senza tuttavia spostarsi di un centimetro da quella posizione. Timidamente, alzò la testa e strusciò un’orecchia contro il fianco di Bianca. Lei sorrise e, dopo un ultimo sguardo amorevole, si diresse verso la porta della stalla. Grigino stava per seguirla, quando, da un buco nella parete di assi vide spuntare il muso della mucca Carlina: in realtà era solo mezzo muso perché il buco non era così grande da contenerlo tutto.
«Allora, è andato tutto bene, vero?» gli sussurrò, strizzandogli l’unico occhio visibile.
«Oh sì, Carlina, e sono così felice!»
«Vedi? Lo sapevo che eri un bravo cavallino e che ti saresti meritato l’aiuto del re ranocchio! Sono proprio contenta, ma adesso corri, vai dalla mamma. Ah, e poi… quando vuoi chiacchierare un po’ sai dove trovarmi!»
Grigino si voltò e uscì. Poco più in là Bianca lo attendeva con la criniera al vento. Quando lo vide arrivare, sventolò la coda e gli si fece incontro. Il sole, adesso, illuminava tutta la campagna e sulla collina, dietro il boschetto di querce, l’acqua dello stagno brillava di mille riflessi. Da sotto il suo sasso, il re ranocchio gracidò una sola volta, poi, soddisfatto, si rimise a dormire.
Era piovuto tutta la notte e Grigino aveva freddo. Lì, dentro alla stalla, la paglia non bastava a riscaldarlo e la sua mamma era tutta spostata verso la parete di legno, vicino al papà e al fratello. La mamma si chiamava Bianca e il papà Nerone mentre suo fratello si chiamava Fulmine. Tutti bei nomi, gli sembrava, eccetto il suo: perché mai lo avessero chiamato Grigino, proprio non lo capiva. Forse dipendeva dal colore del suo mantello che era, per l’appunto, di un grigio sporco, punteggiato qua e là da piccole macchie nere. Forse era a causa del suo brutto nome, forse a causa di tutte quelle macchie, ma era sicuro che la mamma e il papà non gli volessero bene. Il fratello aveva sempre tutte le loro attenzioni, mentre lui, perfino quando andava dalla mamma a succhiare il latte, non riceveva mai una coccola. Lei stava lì infastidita e, appena finita la poppata, se ne andava in fretta, senza nemmeno dargli una leccata sul muso. Anche il papà non lo degnava di uno sguardo e anzi, giusto una settimana prima, lo aveva sentito parlare con la mucca Carlina e dirle che suo figlio era talmente brutto che il padrone aveva in mente di venderlo. Carlina aveva scosso la testa, bofonchiando qualcosa che non aveva capito. Aveva gettato uno sguardo compassionevole verso di lui e se n’era andata nel prato, dove la attendeva il suo pasto di margherite.
Si era spaventato a morte. Lui non voleva andare via di lì, da quella bella stalla e da quel grande recinto dove aveva imparato a camminare. E poi, anche se non gli volevano bene, preferiva restare con la mamma e il papà e anche con Fulmine: lo trattava con sufficienza, è vero, ma era pur sempre suo fratello… Osservando quello che faceva lui, avrebbe potuto imparare ancora molte cose, come scacciare le mosche con la coda, bere al ruscello senza cadere nell’acqua o trottare sul sentiero senza inciampare nei sassi…
Adesso, alzandosi tutto intorpidito dalla paglia umida, si avvicinò alla mamma per avere un po’ di calore e un po’ di latte. Bianca, che lo aspettava, lo guardò distratta e gli disse: «Da oggi, ti darò il latte solo una volta al giorno: è ora che cominci a mangiare la biada, come noi. Sei grande ormai e, anche se sei molto meno sveglio di tuo fratello, ti devi comportare come un cavallo normale».
Grigino la guardò smarrito. Cosa voleva dire che era meno sveglio di Fulmine? Ma lui era un cavallino piccolo, santo cielo! Una grossa lacrima gli scese dall’angolo dell’occhio e scivolò veloce verso la bocca. Un’altra la seguì e un’altra ancora, finché il latte che gli bagnava le labbra non prese un gusto salato. Continuò a succhiare, ma il sapore non era più lo stesso. Si staccò dalla mamma e lei uscì, scrollando la criniera.
Grigino rimase lì, incerto sulle zampe. Era molto triste. Tentò anche lui di scuotere la criniera, ma era fatta solo di pochi peletti dritti e la scrollata gli riuscì poco convinta. Mortificato, uscì e si avviò verso il prato che fiancheggiava la stalla.
«Eccolo qua il nostro Grigino!» esclamò la mucca Carlina vedendolo arrivare. «Cosa ci fai qui dalle mie parti? Ti hanno mandato via? Vieni, Grigino, vieni con me che andiamo un po’ più in là: dobbiamo parlare noi due…»
Grigino la seguì, timido. Carlina era una mucca molto grossa e aveva grandi mammelle sempre piene di latte. La coda, di cui andava molto fiera, arrivava quasi fino a terra. Gli occhi, grandi e castani, erano contornati da ciglia folte e ricurve, mentre le sue orecchie rotonde si muovevano in continuazione.
«Perché muovi sempre le orecchie, Carlina?» chiese Grigino, osservandola stupito.
«Ma perché così ascolto meglio! Sono curiosa, sai, e, credimi, a questo mondo è meglio essere curiosi che indifferenti, almeno sai che cosa ti aspetta! Tu, per esempio, lo sai perché i tuoi genitori non ti vogliono bene?»
Grigino la fissò.
«No, e, anzi, volevo proprio chiederlo a te…»
«Ecco» rispose Carlina sventolandogli affettuosamente la coda sul muso, «non è che non ti vogliano bene veramente, è che quando sei nato si aspettavano che tu fossi, come dire?, più carino, più robusto… più bello, insomma! E allora, vedendoti così mingherlino, temono che il padrone voglia disfarsi di te. Sai quanto è stupido il padrone, con tutte le sue fisime sul colore del mantello, sull’altezza al garrese e tutte le sciocchezze di cui parla sempre con quei signori e quelle signore che vengono in visita… Pensa che una volta ne ha portati da me una decina e, uno alla volta, gli ha fatto tastare le mie mammelle per far vedere quanto fossero gonfie di latte: se solo fossi stata una mucca meno educata, li avrei presi tutti a calci! E invece sono rimasta lì, buona buona, ad aspettare che avessero finito. Vedi, con il passare degli anni si diventa pazienti e io sapevo che se mi fossi ribellata, il padrone me l’avrebbe fatta pagare in qualche modo. Il fatto è che mentre io sono abbastanza vecchia per capire queste cose, i tuoi genitori sono ancora molto giovani e inesperti e, soprattutto, hanno paura. È solo per questo che ti tengono in disparte, perché non vogliono soffrire se un domani dovessero perderti.»
Immobile sulle zampe ancora sottili, Grigino la guardava a bocca aperta.
«Su, su» riprese Carlina, «non ti demoralizzare. Se vuoi, conosco un modo per rimettere a posto le cose.»
«E quale sarebbe?» disse Grigino con voce tremante.
«Se te lo dico, mi prometti di non farlo sapere a nessuno?»
Grigino annuì.
«Me lo devi promettere, non basta dire di sì» aggiunse severa Carlina.
«Lo prometto.»
«Bene, allora. Dunque: lo sai che là in alto sulla collina, dietro il boschetto di querce c’è uno stagno? L’hai mai visto?»
«No, ma mi sembra che una volta ci sia andato Fulmine: ha detto che è pieno di ranocchi che saltano da una riva all’altra.»
«E tuo fratello ci ha mai messo le zampe dentro quello stagno?»
«Non credo, anzi, diceva che tutti quei ranocchi gli facevano ribrezzo.»
«Ah, ah, tipico di Fulmine! Ma lasciamo perdere, che è meglio… Allora, ascolta. Quello è uno stagno magico e i ranocchi fanno parte della magia…»
«Cosa significa “magia”?»
«Significa che lì possono succedere delle cose che non succedono da nessun’altra parte. Ma, attento: solo chi è molto buono può essere ammesso alla magia. Tu credi di essere abbastanza buono?»
«Non so cosa vuol dire essere buono, Carlina. Io…»
«Lo sei, lo sei!» disse Carlina, agitando le orecchie. «La tua risposta lo dice da sola! Ascoltami, dunque. La prossima notte di luna piena dovrai andare allo stagno e fermarti sulla riva: starai lì senza fiatare, fino a quando non vedrai comparire un ranocchio grosso grosso. È il re dei ranocchi e ti parlerà: non so che cosa ti dirà, ma tu dovrai fare tutto quello che ti ordina. Lui sa sempre di che cosa hanno bisogno quelli che gli si rivolgono e tu non dovrai dirgli nulla, dovrai solo ascoltare e obbedire, anche se ti sembrerà che quello che ti viene richiesto sia impossibile da fare. Hai capito bene?»
Grigino fissava Carlina con gli occhi sbarrati.
«Ma… io non sono mai andato così lontano da solo! E di notte, poi… E quale sarà la magia del re ranocchio per farmi voler bene dai miei genitori?»
Lo sguardo di Carlina si fece severo.
«Io ti ho detto quello che devi fare, non ti ho detto che cosa succederà. Se ti fidi di me vai, altrimenti, amici come prima…»
Con uno svolazzante colpo di coda, Carlina si voltò e riprese a pascolare fra l’erba.
Grigino la fissò e tirò su col naso.
«Va bene, ci andrò» disse, raccogliendo tutto il suo coraggio. «Ma, non puoi accompagnarmi tu la prima volta? Non so nemmeno dov’è lo stagno…»
Carlina voltò il muso affondato in un cespuglio di margherite e lo guardò di sotto in su: la sua occhiata fu più eloquente di tante parole.
«Se vuoi cambiare la tua vita devi fare tutto da solo: senza la volontà, la magia non può niente.»
Il colloquio era finito. Grigino tornò sui suoi passi adagio, riflettendo. In fondo, che cosa avrebbe avuto da perdere se avesse seguito il consiglio di Carlina? Niente. Al massimo avrebbe avuto un po’ di paura a raggiungere lo stagno di notte. Forse sarebbe stato meglio andarci prima di giorno, giusto per non sbagliare strada col buio. E poi, se la mamma si fosse svegliata e si fosse accorta che non era nella stalla? Cosa sarebbe successo allora? Cercò di non pensarci ed entrò nel recinto.
La luce chiara della luna illuminava il sentiero. Sebbene Grigino riuscisse a distinguere quasi tutto intorno a sé, ogni ciuffo d’erba, ogni sasso, ogni albero rappresentava un ostacolo per la sua salita verso la cima della collina. Avanzava cauto, attento a cogliere ogni rumore nel silenzio della campagna: aveva paura che Bianca e Nerone si fossero accorti della sua fuga e lo inseguissero. Ma tutto taceva: solo i grilli cantavano la loro melodia, come ogni notte. In lontananza, dall’altra parte della vallata, di tanto in tanto si udiva l’abbaiare cupo di un cane.
Ansimando, un po’ per la fatica e un po’ per la paura, Grigino svoltò alla terza quercia, come aveva già fatto due giorni prima, quando, in pieno giorno, aveva raggiunto lo stagno. Era stato bello, allora. Alla luce del sole, l’acqua brillava, solcata da strani, lunghi insetti che ne sfioravano veloci la superficie. I ranocchi, nascosti sotto le foglie dei cespugli, gracidavano tutti insieme, riempiendo l’aria di un suono assordante. Lui si era mantenuto distante dalla riva: al riparo della quercia, era rimasto a osservare per qualche minuto, poi se n’era andato, contento di aver scoperto un luogo così bello.
Ora, però, con il buio, non era più tanto tranquillo. I ranocchi non si sentivano: forse dormivano. Avanzò piano fino alla sponda e si fermò. La luna si rifletteva nell’acqua, rotonda e bianca. C’era silenzio, lassù non si sentivano più nemmeno i grilli.
Grigino allungò il collo verso lo stagno, ma non vide nulla.
Deluso, stava già per ritornare sui suoi passi, quando all’improvviso tutta la superficie dell’acqua si increspò e, proprio sul sasso su cui posava gli zoccoli, comparve un enorme ranocchio. Era marrone, con grosse macchie verdastre sul dorso e continuava a gonfiare e sgonfiare la gola.
Grigino fece un balzo indietro e si bloccò.
«Be’, non avrai mica paura di me, vero?» gracidò il ranocchio. «Guarda che sono molto più piccolo di te e, se solo tu volessi, potresti schiacciarmi con uno dei tuoi zoccoli, lo sai Grigino?»
«Come fai a sapere il mio nome?» balbettò Grigino con un filo di voce.
«Lo so, lo so, io so tante cose… Ma piuttosto, dimmi, cosa sei venuto a fare qui?»
«Be’, io... È stata la mucca Carlina a dirmi che avrei potuto… ma se ti disturbo, me ne vado subito…»
«Ah, già, Carlina… mucca simpatica… È da un po’ che non la vedo. L’ultima volta che è stata qui, abbiamo fatto una bella chiacchierata: tra una ruminata e l’altra, mi ha raccontato un sacco di cose della fattoria. Peccato che non venga più spesso… Ma torniamo a noi. Allora, qual è il tuo problema?»
«Non so se ho un problema, come dici tu, ma è che sono triste perché la mia mamma e il mio papà non mi vogliono bene. Dicono che sono brutto con questo colore addosso e con tutte queste macchie, e che forse il padrone mi venderà…»
«Ma non farmi ridere! Chi vuoi che ti venda, solo perché sei un cavallo pezzato!»
«Cosa vuol dire pezzato?» chiese Grigino.
«Vuol dire che il tuo mantello ha delle macchie.»
«Ecco, appunto, è perché sono macchiato che nessuno mi vuole! Mio fratello, invece, ha un bel colore uniforme e il suo pelo è lucido, e infatti tutti lo ammirano e gli vogliono bene…»
«Tu, più che un cavallo pezzato, mi sembri un cavallo stupido! Ma non sai quanti altri cavalli esistono come te al mondo? E io allora, cosa dovrei dire io?! Anch’io sono pieno di macchie e per di più sono viscido e nessuno mi vuole toccare perché faccio ribrezzo! Eppure sono il re dei ranocchi! E allora? Guarda che a piangersi addosso non si combina niente di buono: la vita va presa di petto, Grigino, non bisogna mai avere paura di niente. E poi, insomma, francamente non vedo il motivo di tanta tristezza…»
Grigino tacque, deluso. Era stato tutto inutile, aveva fatto male a dare retta a Carlina: quel ranocchio sarà stato anche un re, ma non gli sembrava niente di speciale. Sospirò: il fiato uscì denso dalle sue froge e formò una nuvoletta di vapore sotto la bocca. Stava già pensando di salutare educatamente e di andarsene, quando il ranocchio riprese a parlare.
«In ogni caso, siccome sei un bravo cavallino e sei ancora molto piccolo, se vuoi ti aiuterò.»
Gli occhi bruni di Grigino si spalancarono per la sorpresa.
«Allora, vuoi entrare nella magia oppure torno a dormire?» chiese ancora il re dei ranocchi.
«Sì, certo che voglio» rispose Grigino, «ma cosa devo fare?»
«Devi entrare nello stagno.»
«Entrare nell’acqua?! Ma io ho paura! Non sono mai entrato nell’acqua: e se poi non riesco più a uscire? Se annego? Non so nuotare, io!»
«Dunque, a parte il fatto che sei un fifone e che questa non è una buona cosa per un cavallo, ti faccio notare che questo è uno stagno, non un lago. Il fondo di questa pozza melmosa non arriva al tuo collo: non potresti annegare neanche se lo volessi. E comunque, la mia magia richiede che tu faccia il bagno qui, nel mio stagno. Sta a te decidere.»
Grigino guardò a lungo il ranocchio, poi, incerto, mosse un passo verso l’acqua.
«Ecco, bravo. Adesso vieni, metti uno zoccolo davanti all’altro e entra nel mio regno.»
Con un balzo agile, il ranocchio saltò su un sasso un po’ più lontano e rimase immobile ad aspettarlo. Grigino avanzò. Piano piano, un passo dopo l’altro, entrò nell’acqua fangosa: tremava dal freddo.
«Ecco, avanti così, bravo...» lo incitava il re dei ranocchi dal suo sasso.
L’acqua era arrivata al garrese. Grigino si arrestò.
«Ti ho forse detto di fermarti?» chiese irritato il ranocchio.
«No» balbettò Grigino, «ma… qui l’acqua è profonda, non vorrei…»
«Devi arrivare nel centro dello stagno! Fai ancora quattro passi, fino a che ti resterà solo la testa fuori dall’acqua! Obbedisci! A questo punto la magia non può più essere annullata!» gracidò più forte il re dei ranocchi.
Grigino avanzò ancora. Era terrorizzato: temeva che, da un attimo all’altro, il fondo fangoso lo avrebbe inghiottito. Finalmente giunse nel mezzo: solo il suo collo emergeva dall’acqua.
«Va bene qui?» chiese con voce spezzata dalla paura.
«Sì, sei nel punto giusto» rispose il ranocchio. «Adesso ascolta bene: fai sette respiri lunghi, poi solleva gli occhi verso la luna e, subito dopo, immergi la testa nell’acqua.»
Grigino, talmente spaventato da non avere nemmeno la forza di emettere il più lieve dei nitriti, fissò i suoi occhi in quelli rotondi del ranocchio e cominciò a respirare. Uno, due, tre, quattro cinque… A poco a poco il mondo intorno a lui prese un’altra forma: il re dei ranocchi stava diventando sempre più grande, tanto che il suo corpo occupava tutta la sponda. Gli steli d’erba, fino ad allora quasi invisibili nel buio, adesso erano alti come alberi. I sassi sembravano dirupi che sprofondavano nell’acqua e l’acqua saliva, saliva, saliva…
Sei, sette… La testa di Grigino scomparve sotto la superficie dello stagno.
Allora, il re dei ranocchi emise un gracidio acuto, diverso da tutti gli altri, a cui risposero altri mille gracidii, provenienti da tutti gli stagni del mondo. Per un attimo, l’aria fu piena di quei gridi e di nient’altro.
Poi tutto finì.
Grigino riemerse. La sua testa grondava acqua. Si guardò intorno, stranito. Il ranocchio era ridiventato piccolo come prima. Piano piano, Grigino staccò gli zoccoli dal fondo melmoso e, a fatica, riguadagnò la sponda. Tremava, ma, nonostante tutto, gli sembrava che le sue zampe fossero più salde sul terreno.
Si scrollò forte e i peletti della sua criniera spruzzarono goccioline tutto intorno.
Voltò la testa a guardarsi il dorso. Era bagnato e non aveva più macchie: il mantello era tutto grigio.
Sbalordito allungò il collo a guardare ancora: alla luce della luna, il suo corpo riluceva come argento.
«Non ho più le macchie, re dei ranocchi, non ho più le macchie!»
Il suo nitrito di gioia si levò alto per tutta la vallata.
«Zitto, Grigino, o ti sentiranno fino alla stalla! Non sei più un cavallino pezzato ora: sei contento? Hai visto che la mia magia ha funzionato? Te lo avevo detto che non bisogna mai avere paura…»
Senza rispondergli, Grigino abbassò la testa, piegò le zampe anteriori, si chinò sull’erba e allungò la punta della sua lingua rosea sulla schiena del ranocchio. Quella carezza umida lo fece rotolare su se stesso due volte. Quando infine riuscì a rimettersi in equilibrio sulle zampette corte, scoppiò in una sonora, gracidante risata.
«Ma guarda un po’, se dovevo finire accarezzato dalla lingua di un cavallo! Io, il re dei ranocchi! Non si finisce mai di imparare a questo mondo! Dunque» continuò, cercando di ritrovare la sua dignità di re, «adesso puoi andare. Vedrai che da oggi in poi le cose cambieranno, ma ricordati una cosa molto importante: il rispetto degli altri non si guadagna se prima non si ha rispetto per se stessi.»
«Cosa vuol dire?» chiese Grigino.
«Vuol dire, per esempio, che se ti vedi brutto, ti vedranno brutto anche gli altri, oppure che se pensi che nessuno ti voglia bene, tutti penseranno che tu non meriti il loro affetto. Hai capito, Grigino? Ma adesso basta fare domande, è ora che torni dalla mamma!»
«Sì, ma… e tu? Come potrò mai ringraziarti per avermi dato questo bel mantello d’argento?»
«Non è me che devi ringraziare, ma il tuo coraggio: te lo avevo detto che ad avere paura non si combina mai niente di buono!»
Il re ranocchio si rizzò sulle zampette posteriori e, con un balzo fulmineo, si tuffò in mezzo allo stagno. I cerchi concentrici formati dall’acqua brillarono per qualche attimo alla luce della luna, poi la superficie increspata dello stagno si calmò.
Grigino si voltò e tornò verso la stalla, stando attento a non farsi sentire da nessuno: il suo incontro con il re ranocchio avrebbe dovuto rimanere un segreto fra lui e la mucca Carlina.
«Nerone, torna qui, presto! Vieni a vedere cos’è successo!»
Bianca fissava Grigino con gli occhi spalancati per la sorpresa.
Poco prima, Nerone e Fulmine erano usciti nel recinto. Mentre aspettava che Grigino si avvicinasse per la poppata, un improvviso raggio di sole si era insinuato fra le assi del tetto e aveva illuminato il corpo di suo figlio. Bianca era rimasta senza fiato: il mantello di Grigino era diventato di un bel grigio chiaro, lucente come l’argento. Pensando di aver visto male nella penombra della stalla, aveva fatto un intero giro intorno a lui, esaminandone attentamente il pelo, in cerca delle macchie nerastre.
Non c’erano più.
Dopo un istante di stupore, Bianca aveva lanciato quel possente nitrito per richiamare Nerone. Grigino, incerto sul da farsi, era rimasto in piedi, in attesa: aveva fame ed era stanco perché aveva dormito male. Aveva sognato la mucca Carlina che danzava nello stagno: le sue zampe non affondavano nell’acqua ma ci scivolavano sopra come se la superficie fosse stata di ghiaccio e il re ranocchio, in bilico sulla sua schiena, gracidava forte forte. A un certo punto, un raggio luminoso sottile come un filo si era staccato dalla luna ed era sceso fino al centro dello stagno: allora il re ranocchio ci era saltato sopra e si era lasciato trasportare verso il cielo. Grigino si era svegliato di soprassalto e non era più riuscito a riprendere sonno.
Chissà se il re ranocchio era davvero andato sulla luna, facendo un’altra delle sue magie?
Ora, mentre ascoltava il suo stomaco gorgogliare per la fame, Grigino guardava la mamma. Era immobile davanti a lui e i suoi occhi erano umidi, come se da un momento all’altro dovesse piangere. D’un tratto, gli si avvicinò e, dopo avergli strofinato il muso sul dorso, si piegò di lato avvolgendogli la testa con la criniera bionda.
«Mi fai il solletico, mamma!» nitrì piano Grigino, senza tuttavia spostarsi di un centimetro da quella posizione. Timidamente, alzò la testa e strusciò un’orecchia contro il fianco di Bianca. Lei sorrise e, dopo un ultimo sguardo amorevole, si diresse verso la porta della stalla. Grigino stava per seguirla, quando, da un buco nella parete di assi vide spuntare il muso della mucca Carlina: in realtà era solo mezzo muso perché il buco non era così grande da contenerlo tutto.
«Allora, è andato tutto bene, vero?» gli sussurrò, strizzandogli l’unico occhio visibile.
«Oh sì, Carlina, e sono così felice!»
«Vedi? Lo sapevo che eri un bravo cavallino e che ti saresti meritato l’aiuto del re ranocchio! Sono proprio contenta, ma adesso corri, vai dalla mamma. Ah, e poi… quando vuoi chiacchierare un po’ sai dove trovarmi!»
Grigino si voltò e uscì. Poco più in là Bianca lo attendeva con la criniera al vento. Quando lo vide arrivare, sventolò la coda e gli si fece incontro. Il sole, adesso, illuminava tutta la campagna e sulla collina, dietro il boschetto di querce, l’acqua dello stagno brillava di mille riflessi. Da sotto il suo sasso, il re ranocchio gracidò una sola volta, poi, soddisfatto, si rimise a dormire.